“Giovanni Paisiello Festival” a rischio chiusura: intervista a Paolo Ruta

Dal 30 settembre al 16 ottobre si è tenuta la ventitreesima edizione del Giovanni Paisiello Festival, organizzata dalla storica associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”, da sempre impegnata nella valorizzazione della figura artistica di Giovanni Paisiello e nella produzione di concerti e spettacoli.
Il programma dell’edizione di quest’anno rivela però un ridimensionamento degli appuntamenti (cinque rispetto ai nove del 2024): dettaglio che in qualche modo spiega Paolo Ruta, presidente dell’associazione, in un discorso tenuto il 16 ottobre presso il Duomo di San Cataldo, poco prima che iniziasse l’ultimo evento del festival. Si parla di una possibile chiusura della rassegna, motivata dall’indifferenza della classe politica, degli enti e della stampa, che ne sta mettendo a dura prova la sopravvivenza.
Per saperne di più, abbiamo quindi intervistato Paolo Ruta.  

Cos’è cambiato, al punto da indurvi a pensare a una chiusura dopo 23 anni?

Il problema è l’indifferenza generale, a partire dal fatto che non ci sono stati riconfermati dei contributi, come quello del Comune di Taranto, per cui siamo stati messi in grossa difficoltà come associazione. Era ovviamente un tipo di supporto su cui si era fatto affidamento.  
Anche dalle categorie di settore, eccetto la Camera di Commercio, non è arrivato nulla, per cui credo davvero ci sia poco interesse. Eppure, Paisiello resta sempre il personaggio più importante che Taranto abbia avuto, per cui o non si comprende questo aspetto o si ha il timore di confrontarsi con delle realtà che in altre città, anche più piccole della nostra, riescono ad affermarsi in maniera consistente: parlo del pubblico, del turismo, di contesti come quello di Pesaro con il Rossini Opera Festival, di luoghi che, puntando sui loro personaggi storici, hanno creato anche un business dal punto di vista turistico. Da noi questo non accade.

Rispetto al mancato supporto del Comune e dei vari enti, le sono state date delle motivazioni concrete?

In molti casi non rispondono proprio, non si riesce a comunicare. Il Comune ha detto che ci sono dei problemi di bilancio, per cui quest’anno va così. Intanto, non si può sviluppare un festival con grossi nomi, grosse produzioni se non si hanno fondi, anche perché sappiamo che il mondo dello spettacolo, soprattutto questo tipo di spettacolo, non si regge da solo, ha davvero bisogno dei contributi pubblici.

Per quanto riguarda l’atteggiamento della stampa?

Zero interesse. Non c’è più nessuno che viene a vedere uno spettacolo, a recensire, a vedere cosa facciamo, a capire di che cosa si tratta, a dire cosa di un’opera funziona e cosa non va. Ormai è tutto ridotto a mero consumismo: attirano interesse solo eventi in cui c’è un ritorno mediatico importante, legati, per esempio, a personaggi della TV.
Quando ho iniziato a frequentare il teatro, seguivo molto sia la prosa che i concerti degli Amici della Musica ed era bello, nei giorni seguenti, leggere le recensioni e i racconti di ciò che era accaduto durante la rappresentazione.
Adesso non c’è nulla e così si sono persi anche molti lettori. Se scrivessero, chi segue il teatro potrebbe leggerli e quindi si potrebbe creare nuovamente un seguito, però purtroppo non c’è l’intento. Si preferisce parlare sempre delle stesse questioni.

Dal punto di vista del riscontro del pubblico ha notato delle differenze?

No, in fin dei conti il pubblico ci segue, c’è un sostanziale interessamento e chi viene apprezza molto ciò che proponiamo.

Quindi è il sistema intorno che dovrebbe cambiare.

Sì, assolutamente.

Ci troviamo quindi di fronte a una situazione complessa, in cui si intrecciano diversi fattori: da un lato le difficoltà che tutti i festival stanno affrontando a causa dell’aumento generale dei costi; dall’altro una stampa figlia dei tempi, sempre più influenzata dai meccanismi dei trend, dei like e delle visualizzazioni, che tende a privilegiare ciò che è immediatamente “visibile” rispetto a ciò che è culturalmente significativo. A tutto questo si aggiunge un’amministrazione comunale con risorse limitate, dove la cultura fatica a trovare spazio e riconoscimento, anche per l’assenza di una figura di riferimento che se ne occupi in modo strutturato.
Il rischio di questa combinazione di elementi è un progressivo impoverimento culturale della città e la conseguente perdita di prospettiva nella creazione di nuovi progetti.

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